3 Feb 2023

India e Cina: la grande sfida asiatica

Due potenze economiche

La più grande crescita al mondo per il secondo anno di fila, la quinta economia mondiale; superato il concorrente cinese come paese più popoloso e sfidatolo come nuovo hub dell’economia globale. Il Bilancio dello stato aveva l’obbligo di essere lo specchio dell’ottimismo indiano. Un budget da 549,14 miliardi di dollari (45mila miliardi di rupie); una crescita del Pil, che include l’inflazione, prevista al 10,5% (6.5 in termini reali), deficit fiscale al 5,9%, aumento del 33% delle spese in conto capitale.

L’anno fiscale in India inizia ad aprile. Il primo Bilancio lo presentò nel 1860 un economista scozzese, James Wilson, poco tempo dopo che il governo britannico aveva tolto alla Compagna delle Indie il controllo del Subcontinente. Nel 1947, quando il ministro delle Finanze Shammukham Chetty presentò il primo rendiconto dell’India indipendente, solo il 10% della popolazione sapeva leggere e scrivere. Mercoledì Nirmala Sitharaman, da cinque anni alle Finanze nel secondo governo di Narendra Modi, ha presentato la sintesi amministrativa di un’economia cresciuta di dieci volte in 25 anni. Ancora nel 2008 il 17% degli indiani possedeva un conto in banca: ora lo hanno quasi tutti.

Il Nobel Michael Spence sostiene che “ora l’India è l’attore eccezionale” dell’economia globale ed è “la destinazione finale più preferita degli investimenti”. Secondo altri economisti, entro un decennio il paese garantirà un quinto della crescita globale. A dicembre il Financial Times riferiva che già in M&A, acquisizioni e fusioni, per la prima volta il mercato indiano aveva superato quello cinese: 231 miliardi di dollari a 204.

Mentre la popolazione cinese – un miliardo e 401 milioni – diminuisce e invecchia, quella indiana cresce e ringiovanisce. Il Nobel Amartya Sen aveva definito “crescita hindu” l’inutile 3% di sviluppo, annualmente vanificato dall’incontrollato moltiplicarsi della popolazione. Il problema esiste ancora: anche il nazionalista e conservatore hindu Narendra Modi aveva moderatamente tentato di ridurre la popolazione indiana. Ma ora nell’ottimismo generale sul crescente ruolo del paese nel mondo, l’imminente, se non già avvenuto primato della popolazione diventa patriottismo demografico. È come viene percepita anche la conquista del quinto posto globale per dimensione dell’economia, togliendo la piazza teorica alla Gran Bretagna, l’ex potenza coloniale.

Il Pc cinese ha stabilito per decreto che nel 2049, compiuti cento anni, la Repubblica Popolare sarà una superpotenza. Nel 2047, quando se ne celebrerà il centenario dall’indipendenza, Modi ha invece promesso che l’India sarà una nazione sviluppata: il Pil procapite sarà cresciuto di sei volte, a 12mila dollari l’anno. “Non ci accontenteremo di niente di meno”, aveva garantito il premier dalle mura del Forte rosso di Delhi.

Militarmente l’India non può competere con la Cina ma non è detto che fra 24 anni si accontenti di essere un paese sviluppato e non anche una potenza asiatica sul piano geopolitico. Atmanirbhar Bharat, l’autosufficienza nazionale, lo slogan di Modi, non riguarda solo indipendenza economica ma anche sicurezza nazionale. Il cammino sta avvenendo in modo diverso da quello cinese della potenza revisionista che vuole mutare l’ordine internazionale. L’India che nel 2023 ha la presidenza del G20, ad agosto aveva partecipato in Siberia alle esercitazioni militari Vostok con russi e cinesi; ad ottobre era con gli americani sull’Himalaya. L’India compra petrolio russo a prezzo di favore e partecipa con Usa, Australia e Giappone al Qad, la quadrilaterale per l’Indo-Pacifico. È un paese Brics con Cina e Russia, è nella Shangai Cooperation Organization promossa dai cinesi, nella I2U2 con Usa, Israele ed Emirati.

Il Bilancio di Nirmala Sitharaman prevede un aumento del 33% delle spese in conto capitale: più 48% per le ferrovie, più 24 in autostrade, 50 nuovi aeroporti, energia. Dalla prima vittoria elettorale nel 2014, Narendra Modi punta sulle infrastrutture, gravemente deficitarie in India. Otto anni dopo il paragone con l’esperienza cinese è ancora improponibile.

Mentre Xi Jinping resuscita una forma di Marx-leninismo, le riforme di Modi aprono l’economia indiana e snelliscono la burocrazia. Ma gli investimenti internazionali continuano a restare attorno al 2% del Pil. General Motors, Walmart, Google hanno avuto esperienze negative. Meno dell’80% dei 160 miliardi di dollari di capitalizzazione della Borsa di Mumbai ancora dipendono da una sola conglomerata indiana, il Gruppo Adani. Il Bilancio 2023 chiede finalmente meno tasse alla crescente classe media. Ma solo il 15% è middle class secondo i parametri internazionali e i suoi consumi sono lontani da quelli cinesi.

Aadhar, le 12 cifre della nuova identità digitale, sta trasformando l’India. Dove un tempo l’accesso al sistema pubblico era un privilegio o un favore, le nuove tecnologie hanno garantito oltre 2 miliardi di vaccini e distribuito 200 miliardi di medicinali anti-covid. Con l’Unified Payment Interface, a luglio le transazioni nel sistema dei pagamenti on-line sono state 6 miliardi e 28 milioni. Nello stesso mese di sei anni fa non arrivavano a 100mila. Sono alcuni dei risultati del Digital Swaraj, l’indipendenza digitale: a Modi piacciono gli slogan. Ma il miracolo indiano è ancora lontano dalla Cina.

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