3 Feb 2023

Dalla sanzione alla triangolazione

ENERGIA

11 luglio 2008. Il Brent quota 147 dollari. E da allora a oggi mai più. Il commentario d’epoca ci intratteneva con picchi del petrolio e sua fine imminente. (E ovviamente anche con la speculazione, che quella per definizione non può mancare quando non sai a che Santo votarti). In realtà non era finito il petrolio. Erano finite le raffinerie.

Il legislatore americano nel 2006 aveva portato di botto il limite di zolfo nel diesel per autotrasporto da 500 ppm (parti per milione) a 15; e quello europeo aveva portato l’asticella prima a 50 e poi con Euro 5 a 10 ppm. Raffinare diventava sempre più “desolforizzare”; ma i legislatori si erano dimenticati di avvisare le raffinerie. Il sistema non aveva sufficiente capacità di desolforizzazione dei greggi acidi (per contenuto di zolfo); e di quelli “dolci” non ce ne era abbastanza per soddisfare la domanda. E così il greggio schizzava a 147. E nel mentre se ne stavano in rada petroliere cariche di greggi acidi che non trovavano compratore.

La situazione, se pur rovesciata, si ripropone oggi con il prezzo del diesel e il suo embargo. Stavolta però a mancare è l’acido.

Tocca al diesel

Il 5 febbraio scatta l’embargo UE sui prodotti russi di raffinazione del greggio. E noi in particolare importiamo distillati intermedi, tra cui diesel da autotrasporto e olio combustibile. La capacità di raffinazione europea è sufficiente a soddisfare la domanda di distillati leggeri (benzine); ma, pur avendo un eccellente rendimento nella raffinazione del diesel, le raffinerie del continente non hanno capacità sufficiente a soddisfare il mercato.

Ogni raffineria ha una sua configurazione che la rende più o meno adatta a raffinare determinati greggi e a ricavarne diversi prodotti (come spesso scherzando ripeto, ogni greggio è bello a raffineria sua). Di lì un vincolo sia di approvvigionamento che di produzione. Il divario è grosso modo di 1,3 milioni di b/g (barili giorno); che l’Europa, al netto del contributo del biodiesel, colma attraverso l’importazione. Le importazioni dalla Russia si sono a loro volta attestate negli ultimi anni oltre i 600.000 b/g, grosso modo un decimo dei consumi europei.

Qual è il problema? Col gas dovevamo rimpiazzare un 30%; e qui solo un decimo e il prodotto viaggia per navi e non dovremmo avere problemi di infrastrutture di sbarco. In realtà rimpiazzare quel decimo non è semplice; e questo perché, tanto per cambiare, la sanzione va ad atterrare su un mercato già corto di suo e che già nel 2022 per tener botta ha dovuto attingere alle scorte. All’inizio di ottobre le scorte americane di distillati erano al livello stagionalmente più basso dal 1982 (che fu peraltro il primo anno in cui si fecero carico di rilevazione statistica); e quelle europee al minimo dal 2004. Buon embargo a tutti.

Le lezioni del passato

Come sempre, il mercato reagisce all’annuncio e cerca di anticipare l’evento. Così succede che da qualche mese il distillato per autotrazione meno pregiato (il gasolio) venda a premio su quello più leggero (la benzina); e che gli operatori facciano scorta pre embargo (abbiamo toccato gli 800.000 b/d di importazione dalla Russia) contribuendo alla pressione sul prezzo. Storicamente il barile di diesel ha quotato intorno al 120% del prezzo del greggio. Oggi il Brent è poco sopra gli 82 dollari e il diesel quota sopra i 115. La forbice si è sensibilmente allargata

E adesso? Un po’ di scorta l’abbiamo fatta e la Cina ha appena e benevolmente (?) raddoppiato i volumi di cui consente l’esportazione. Il problema non è di scarsità assoluta. L’Europa ha insegnato al mondo, facendo esplodere il prezzo del gas lo scorso agosto, che quando un bene è scarso basta comunque pagare più degli altri per approvvigionarsene. Il problema non sono i volumi, è e sarà il prezzo. Il diesel, come lo definisce John Kemp, è il cavallo da tiro dell’economia. Difficile capire come possiamo sperare in un ristoro delle scorte e un suo scendere di prezzo se non al costo del rallentamento di ciò che tira. E sarà difficile aumentare o anche solo mantenere il passo senza (almeno nel breve/medio periodo) che il suo prezzo resti in tensione e finisca per tirare più inflazione che economia. È sperabile che dalla lezione del gas qualcosa si sia imparato.

Il diesel è comunque, come il petrolio, mobile. E in fin dei conti la Russia il suo lo deve vendere, magari finendo per riequilibrare il mercato. La Commissione UE sembra ora impegnata a stabilire un price cap per i distillati come fu per il greggio. Si stanno specializzando ad applicare prezzi massimi a merci che comunque non si possono acquistare, perché sotto embargo.

Chi non embarga in effetti può comprare al prezzo che vuole (non è che la UE possa imporre un prezzo massimo agli acquisti cinesi…). Ma per i carichi venduti a prezzo superiore al cap è fatto divieto agli operatori europei di fornire i servizi ausiliari (in particolare shipping e copertura assicurativa). Ai russi abbiamo in pratica (e semplificando) tolto con le sanzioni finanziarie la possibilità di credito e di transazioni in dollari condotte attraverso banche occidentali. Adesso gli rendiamo più difficile trasportare e assicurarsi.

Limiti di embargo e tetto al prezzo

Mosca dovrà trovare alternative. Se non sarà immediato, comunque, le potrebbe in buona parte essere progressivamente possibile. Ci vogliono navi proprie, e già, magari via Dubai, la Russia sta allestendo la flotta; un circuito assicurativo proprio e accettabile ai porti di destinazione (e già succede); e magari una diversa valuta di riferimento (e non è detto che lo yuan non si presti). Nel mentre riequilibra si arrangia. A qualche carico fa fare carico/scarico offshore in acque internazionali. Se controlla assicurazione e shipping prezza fob (free on board ovvero senza comprendere i costi del nolo né le altre spese accessorie per portare la merce a destinazione) così da rispettare il price cap e per recuperare almeno in parte ci carica il prezzo cif (cost insurance and freight, comprensivo di spese per l’assicurazione e il trasporto) includendo così noli e premi multipli rispetto al mercato. Magari a volte offusca provenienza e/o destinazione. L’importante è che non gli manchi il mercato, e in Asia, soprattutto a sconto, il diesel russo è più che bene accolto.

Siamo noi stessi, del resto, a suggerirgli un’autostrada per fare del cap un colabrodo. Se qualcuno compra russo e lo raffina, così prevedono le regole di embargo, è poi libero di riesportare i prodotti a prezzi di mercato. Regola tra l’altro realistica: se compro diesel dalla Cina normalmente non mi arriva compreso di certificazione del greggio di origine. Ma così facendo si apre alla possibilità che pienamente alla luce del sole e usando navi greche e assicuratori londinesi si possa vendere, ad esempio in India, greggio russo a 50 dollari/barile e riesportare diesel a 120. Mettete il tutto nelle mani di un trader appena sveglio e l’accordo russo/indiano per fare a mezzi potete darlo per concluso. O in alternativa fate a meno del trader e lasciate fare direttamente al russo visto che  la raffineria di Nayara, presso Mumbai, è di fatto controllata da Rosneft e da poco partecipata financo da un attore italiano (Mareterra Group Holding, che attraverso un fondo lussemburghese ha rilevato la partecipazione da Trafigura).

L’embargo crea squilibrio, ed espone l’importatore a un mercato (in punto di prezzo) dell’offerta. Un mercato squilibrato tra domanda e offerta stimola però il riequilibrio. E un pezzo di riequilibrio verrà dall’Asia, e anche (soprattutto?) in forma di prodotto di greggio russo colà ribattezzato. Il percorso può essere accidentato e comunque costoso, però sarà percorso.

La globalizzazione, via sanzione, si fa triangolazione.

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