7 Ott 2022

Il primato rischioso del dollaro

SISTEMI VALUTARI

Si parla da tempo della fine della supremazia del biglietto verde e della nascita di sistemi valutari alternativi, ma i dati dicono che tale rivoluzione non sarà imminente. Quanto tempo ci vorrà e quali condizioni si dovranno realizzare perché tali trasformazioni avvengano realmente?

Anche in ambito strettamente monetario, il concetto di egemonia risale a Gramsci. Nel quaderno 4, egli evoca “l’egemonia economica anglosassone e della sterlina nel mondo” e annota che ““il mercato finanziario di Londra produce un reddito che contribuisce in larga misura a saldare il deficit della bilancia commerciale”, ma che, d’altro canto, “gli sforzi fatti per conservare la posizione di Londra come centro finanziario internazionale impongono sacrifizi eccessivi all’industria e al commercio”. Erano i primi anni ‘30 e di lì a poco, dopo un decennio travagliato dalla Grande depressione e dalla Seconda guerra mondiale, il Regno Unito avrebbe passato lo scettro monetario oltreoceano.

Oggi, a distanza di novant’anni, la medesima analisi si applica agli Stati Uniti: il dollaro conserva un’egemonia monetaria nel mondo. Ciò consente agli USA di finanziare un deficit persistente della bilancia commerciale con l’afflusso di capitali dall’estero: in sostanza, gli americani, come già gli inglesi un secolo fa, vivono al di sopra dei propri mezzi, acquistando sui mercati internazionali più beni e servizi di quelli che sono in grado di vendere, cedendo in cambio titoli. Nella divisione internazionale del lavoro, la potenza egemone ha il privilegio di potersi specializzare nella produzione di debiti. Ma a questo privilegio, come avverte Gramsci, corrisponde un pericolo: quello di sacrificare gli interessi industriali e commerciali agli interessi finanziari. E l’egemonia monetaria del dollaro si trova oggi su un crinale pericoloso, di cui occorre prendere bene le misure.

 

Una leadership che continua, anche se in calo

Una moneta internazionale è una valuta utilizzata nei sistemi finanziari e nei mercati reali esteri al fine di assolvere ad almeno una delle tre funzioni comunemente associate alle monete nazionali: riserva di valore, unità di conto e mezzo di pagamento. Dal secondo dopoguerra, il dollaro è stato considerato la moneta internazionale per eccellenza dato che ha costantemente mantenuto il primato in tutte e tre le funzioni.  Come prima cosa, proviamo a mostrare come l’utilizzo del dollaro da parte degli agenti economici sia cambiato nel corso degli ultimi anni e se, alla luce di tale cambiamento, si possano tracciare possibili traiettorie future.

Considerando la funzione di riserva di valore, la Figura 1 mostra la quota di riserve denominate in dollari tra il 1999 e il 2021. Si può notare come tale quota sia diminuita dal 71% al 59%. Nonostante il dollaro mantenga saldamente il primato, il trend è decrescente. Fino alla crisi dei debiti sovrani europei l’euro fu il principale beneficiario di tale calo; da quel momento in avanti ne hanno tratto vantaggio altre valute, fra cui dollaro canadese, dollaro australiano e yuan cinese. Tuttavia, è importante notare come la Cina, malgrado la sua rilevanza nel commercio internazionale, occupi ancora un ruolo modesto come asset di riserva.

 

Figura 1  Riserve valutarie delle banche centrali

Fonte: Fondo Monetario Internazionale

 

Analizzando invece la funzione di mezzo di pagamento si può notare come alla fine del 2021 il 76% dei pagamenti effettuati attraverso la piattaforma Swift fossero denominati in dollari ed euro (Figura 2). La loro quota di utilizzo di pagamenti è quasi bilanciata. Ciò implica che, per quanto riguarda questa dimensione di analisi, il dollaro condivide con l’euro il primato. Attualmente, lo yuan transa circa il 2,7% dei pagamenti Swift ed è il quarto mezzo di pagamento internazionale dopo la sterlina inglese.

 

Figura 2  Pagamenti internazionali attraverso il sistema SWIFT

(esclusi i pagamenti all’interno dell’eurozona)

Fonte: SWIFT

 

Ancora la funzione di unità di conto: può essere utile considerare la valuta in cui sono denominate le fatturazioni delle esportazioni per diverse aree geografiche (Figura 3). Nelle Americhe l'utilizzo del dollaro nei mercati internazionali reali è pressoché totale.  Nonostante l’importanza di Paesi come Giappone e Cina nel commercio asiatico, la valuta americana è ampiamente utilizzata (circa il 74%) così come in Africa e nel resto del mondo. Solo in Europa l’euro mantiene il primato come unità di conto per gli scambi internazionali.

 

Figura 3  Denominazione della fatturazione delle esportazioni

Fonte: FED

 

Dal punto di vista finanziario, invece, la forza di una moneta internazionale è osservabile da un altro indicatore: la denominazione degli strumenti di debito emessi sui mercati mobiliari.  La Figura 4 mostra chiaramente come la quota di obbligazioni (pubbliche e private) emesse sui mercati finanziari internazionali e denominate in dollari siano al primo posto e in notevole aumento nell'ultimo decennio.

 

Figura 4  Denominazione dei titoli scambiati sui mercati finanziari

(percentuali a tassi di cambio costanti, quarto trimestre 2021)

Fonte: BCE

 

Il dollaro “rifugio sicuro”, ma con dei rischi

In definitiva, come abbiamo già avuto occasione di osservare, la solidità del dollaro si regge sempre più sulla liquidità dei mercati finanziari denominati in dollari. Se la valuta americana conserva il suo primato come moneta internazionale non è come strumento di riserva o come mezzo di pagamento. Come abbiamo visto, infatti, nell’esercizio di queste due funzioni la quota del dollaro già subisce una costante erosione e la concorrenza di altre valute. Dove gli Stati Uniti mantengono un primato indiscusso è nella capacità di fornire al resto del mondo attività finanziarie safe assets”, che costituiscono un rifugio sicuro per il risparmio globale in momenti di incertezza. La loro capacità di assolvere tale compito meglio di chiunque altro è messa bene in evidenza dal fatto che, in conseguenza della crisi Ucraina, il dollaro si è apprezzato rispetto a tutte le principali valute del mondo, proprio per effetto delle massicce fughe di capitali verso gli Stati Uniti (Figura 5).

 

Figura 5  Svalutazione delle principali valute rispetto al dollaro

(Variazioni del tasso di cambio per le economie del G20 dal 31 dicembre 2021, %)

Fonte: Financial Times

 

Ma si tratta, come dicevamo, di un crinale pericoloso. Infatti, ciò che consente oggi agli Stati Uniti di mantenere il loro primato è il rialzo aggressivo dei tassi d’interesse da parte della FED, che risponde al duplice scopo di attrarre capitali, offrendo agli investitori internazionali un elevato rendimento sui titoli denominati in dollari, e di combattere l’inflazione, evitando che il rialzo dei prezzi eroda il valore reale di tali investimenti. Una simile manovra era già stata sperimentata con successo all’inizio degli anni ‘80, quando il rialzo dei tassi d’interesse da parte del governatore della FED, Paul Volcker, consentì di sconfiggere l’inflazione e di consolidare il potere monetario e finanziario degli Stati Uniti.

Non si tratta, tuttavia, di una misura indolore. Come già vediamo, le altre banche centrali sono costrette a seguire la FED nella stretta monetaria, se non vogliono che le proprie valute si svalutino, aggravando l’inflazione. A sua volta, però, il rialzo dei tassi d’interesse mette in difficoltà i debitori più esposti e più fragili. Negli anni ‘80, il “Volcker shock” provocò una grave crisi nei Paesi in via di sviluppo in Africa e in America Latina. Oggi, il rialzo dei tassi rischia di avere effetti ugualmente devastanti, non soltanto sulle economie emergenti della periferia, ma anche in Europa.

Come insegna Gramsci, l’egemonia implica non soltanto il dominio, ma anche la capacità di mantenere il consenso, facendo apparire a tutti i vantaggi del mantenimento dell’ordine costituito. Una potenza egemone in crisi può essere costretta a ricorrere sempre più alla forza che al consenso. Le prospettive per il dollaro di mantenere la sua egemonia dipendono dalla capacità degli Stati Uniti di continuare a offrire vantaggi, non soltanto ai propri creditori, ma all’insieme della comunità commerciale e finanziaria internazionale. 

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