6 Nov 2017

Disfatta ISIS e Foreign Fighters di ritorno: il caso italiano

Working paper

Negli ultimi anni l’opinione pubblica mondiale è stata ripetutamente scossa dalla violenza e dalle immagini che hanno accompagnato mediaticamente la rapidissima ascesa ed espansione dell’autoproclamato Stato Islamico[1]. L’attenzione dell’intelligence e del mondo accademico è stata attirata soprattutto dal fenomeno dei foreign terrorist fighters (Ftf) coinvolti nel conflitto siro-iracheno, per le modalità di attivazione e sviluppo, nonché per la mobilitazione raggiunta in brevissimo tempo[2]. Recentemente, la propaganda di Isis tenta di spostare l’asse del conflitto promuovendo l’esecuzione di attentati in Occidente come ritorsione per l’intervento armato in Siraq[3]. Inoltre, le disposizioni normative più rigide di cui la maggior parte dei paesi si è dotata per fronteggiare il fenomeno, e una migliore (seppur imperfetta) cooperazione internazionale di polizia, hanno ridotto notevolmente il flusso di Ftf verso quei territori.

Una delle minacce più pressanti per l’antiterrorismo è rappresentata oggi dal rientro dei reduci del jihad, addestrati e induriti dalle esperienze di combattimento e in grado di eseguire un attacco terroristico complesso e coordinato nei paesi d’origine; a questo va aggiunto il rischio di un rapido processo di radicalizzazione che i returnees possono innescare in giovani emarginati delle grandi metropoli occidentali, anche grazie al fascino esercitato dal veterano del jihad[4].

Obiettivo di questo elaborato è quello di provare a colmare un vuoto nelle pubblicazioni di settore, illustrando la situazione italiana del reducismo jihadista dal Siraq e la minaccia che ne consegue per la nazione. Nonostante una dimensione numericamente ridotta, l’analisi tiene conto del fatto che il fenomeno del jihadismo globale rende impossibile una valutazione del rischio per il nostro paese che non analizzi ulteriori fattori e peculiarità.

Nel testo vengono esaminate le diverse tipologie di returnees, dal disilluso, all’opportunista e all’operativo “dormiente”, attesa la necessità di effettuare una meticolosa valutazione della minaccia rappresentata da ogni singolo Ftf ritornato. Vengono quindi evidenziati potenziali metodi e percorsi di rientro dei returnees nel nostro paese, per poi richiamare le misure di tipo repressivo che l’Italia ha adottato attingendo in modo sostanziale alla pregressa esperienza nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato[5]. Vengono inoltre menzionati vari esperimenti europei per il contrasto all’estremismo violento (Cve), con riferimento al primo Disegno di Legge italiano per la prevenzione della radicalizzazione di matrice jihadista. Nelle conclusioni si tenta di delineare la situazione del jihadismo in Italia e viene infine sottolineata la necessità di un approccio multidisciplinare per la gestione del reducismo e della radicalizzazione violenta, che combini le politiche di sicurezza a strategie di intervento sociale di lungo periodo[6]

Generalità e rischio Ftf

Il movimento jihadista, in perenne adattamento alle dinamiche sociali e politiche internazionali, è attualmente in una fase di riassetto in seguito alla perdita di territori e risorse patita dall’autoproclamato Stato Islamico. La trasformazione di Isis da “Califfato” retto da Abu Bakr al-Baghdadi a organizzazione di lotta insurrezionale clandestina, permetterà probabilmente a questa entità e alla sua ideologia di sopravvivere e riorganizzarsi[7]

L’altra principale formazione jihadista dell’area e riconducibile alla galassia di al-Qa’ida (Hayat Tahrir al Sham – Hts a seguito dell’ultimo cambio di nome del gruppo) si rafforza e tesse nuove alleanze probabilmente per inserirsi nel vuoto lasciato da Isis; la leadership di al-Qa’ida, composta da “jihadisti della prima generazione” ha avuto un approccio più pragmatico al conflitto siro-iracheno, attendendo nell’ombra di Da’ish e ripristinando la propria rete logistico-operativa[8].  

La valutazione della minaccia terroristica oggi non può prescindere dall’analisi del fenomeno returnees, ovvero i Ftf recatisi in Siraq sin dal 2011 e ora in procinto di ritornare (o già rientrati, come si vedrà in seguito) nei paesi d’origine. Per contestualizzarne la situazione occorre innanzitutto dare una definizione inequivoca del foreign terrorist fighter; l’aggettivo terrorista infatti viene connotato in maniera assai diversa nel mondo, al punto che non è possibile rinvenire in ambito internazionale una definizione condivisa[9]. Per quanto riguarda la limitata portata di questo elaborato, si farà riferimento a quella emanata dalle Nazioni Unite con Risoluzione 2178/2014[10].

Il fenomeno non è assolutamente una novità, se si pensa alla precedente generazione di Ftf che combatté ad esempio in Afghanistan, Bosnia, Cecenia e che fece ritorno nei paesi occidentali creando “la rete europea di al-Qa’ida”[11]. Persone che possono eseguire attentati devastanti grazie anche all’esperienza acquisita durante i combattimenti cui hanno partecipato, oltre a poter diventare vettore di jihadizzazione per altri individui; ciò a causa del fascino che i reduci esercitano su persone che si sentono emarginate dalla società, vivono un conflitto esistenziale e vedono nel jihad un momento di riscatto e di rivendicazione di un’identità individuale e sociale.

Sono oltre 42000 i Ftf partiti per la Siria e l’Iraq da più di 120 nazioni, che si trovano oggi a fronteggiare il problema della “gestione” dei reduci. Secondo stime dell’Onu circa il 30% dei combattenti partiti sarebbe già ritornato, creando forti allarmi per il timore di attentati[12]. In Europa sarebbero circa 1500 i mujahidin rientrati rispetto ai circa 5000 partiti per il Siraq[13].

Citando alcuni dati relativi a paesi europei, nel solo Regno Unito sarebbero circa 400 gli Ftf rientrati in patria, mentre in Germania il numero censito è di 274 reduci[14]. Secondo il direttore del Dgsi francese, il numero di returnees sul territorio transalpino è stimabile tra i 400 e i 500, mentre le autorità belghe valutano in 121 il numero dei combattenti rientrati. In Svezia sono circa 140 i Ftf che hanno fatto ritorno[15].

Si tratta di cifre di cui anche l’Italia dovrà tenere conto, unitamente al gruppo di returnees tunisini e provenienti dai Balcani (rispettivamente 800 e 300 individui); queste ultime sono comunità molto numerose e geograficamente vicine al nostro paese, che risulta quindi facilmente raggiungibile e meta preferenziale per questi jihadisti di ritorno[16].

Vanno poi fatte delle valutazioni sui reduci tuttora in libertà: non tutti i Ftf sono stati “censiti” dalle forze di polizia; alcuni sono dei veri e propri commuter del jihad, che fanno la spola tra Europa e Siraq per brevi periodi, in modo che la loro assenza non venga notata. Inoltre, anche per Ftf identificati come tali, è difficile dimostrarne attività di tipo terroristico; ciò anche a causa del difficile flusso informativo dall’area interessata e considerata la volontà degli jihadisti di omettere i reati eventualmente commessi[17]. Nella maggior parte dei casi i returnees riferiscono agli inquirenti di aver “prestato assistenza umanitaria” o eventualmente di aver fornito “supporto logistico”, negando di aver partecipato a combattimenti o aver ricevuto un addestramento paramilitare.

In alcune interviste raccolte da Anne Speckhard e Ahmet S. Yayla con individui che hanno defezionato da Isis invece, viene evidenziato come Isis addestrasse all’uso delle armi e degli esplosivi tutti i Ftf che entravano in Siria e Iraq. Gli aspiranti combattenti venivano infatti inviati in campi di addestramento dove, per alcune settimane, ricevevano un addestramento paramilitare, oltre a frequentare lezioni di carattere religioso e ideologico[18].

Reducismo in Europa

L’alto livello della minaccia rappresentata dai returnees è dovuto all’addestramento e all’esperienza di combattimento oltre che ai collegamenti con la rete terroristica internazionale. La desensibilizzazione all’uso della violenza, combinata con il disturbo post traumatico da stress (Ptsd) che di solito accompagna le esperienze di combattimento, oltre al potenziale coinvolgimento in atrocità come quelle ampiamente pubblicizzate da Isis, innalzano il livello di rischio rappresentato dai reduci[19]

Il direttore dell’Agenzia Antiterrorismo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha ricordato infatti che, mentre i primissimi reduci del conflitto siro-iracheno erano principalmente giovani ideologicamente poco formati, la seconda ondata di ritorni, dovuta anche alle continue perdite di territorio patite da Isis, potrebbe essere composta da soggetti molto più pericolosi e in grado di eseguire attacchi terroristici complessi[20].

I returnees hanno già giocato un ruolo importante in Europa in diversi recenti tragici attentati, sin da quello compiuto da Mehdi Nemmouche a Bruxelles nel 2014[21]; alcuni tra i più gravi atti terroristici degli ultimi anni in Europa e Stati Uniti hanno visto il coinvolgimento di uno o più reduci del jihad in Siraq, talvolta assieme a giovani radicalizzati in patria, come nei casi di Parigi e Bruxelles[22]. In un recente studio relativo agli attentati terroristici perpetrati in Europa e Nord America negli ultimi tre anni, è stata inoltre riscontrata una maggiore letalità dei commando terroristici composti anche parzialmente da returnees, a conferma delle ipotesi sopra rappresentate[23].

Valutazione del rischio returnees

La prima informazione rilevante nella valutazione del rischio posto da un returnee riguarda la durata della sua permanenza in Siraq; più è lungo il periodo vissuto nell’area del conflitto, maggiori saranno l’esperienza di combattimento acquisita e il convincimento ideologico maturato[24]. Una breve permanenza in quei territori depone invece a favore di un disincanto del Ftf una volta avuta esperienza diretta della vita nel cosiddetto califfato, che potrebbe essere sfruttato anche come arma di contro-narrativa rispetto all’ideologia jihadista[25].

Deve poi essere analizzata la motivazione alla base del rientro del mujahidin, confrontando le dichiarazioni fornite dall’interessato a un’approfondita attività investigativa per avere conferma della veridicità di quanto riferito; pressioni del nucleo familiare, nostalgia per il precedente vissuto quotidiano, malattie e ferite, non presuppongono infatti una rinuncia di fondo ai principi del jihad.

È possibile dividere i reduci del jihad in quattro macro categorie, sempre tenendo presente il rischio che tali generalizzazioni hanno nella valutazione individuale di soggetti con un vissuto personale assolutamente incomparabile; la prima categoria, già evidenziata in precedenza, è rappresentata dai disillusi e traumatizzati che hanno lasciato volontariamente i territori controllati da Da’ish; un secondo gruppo di returnees è invece composto dai cosiddetti “opportunisti”; persone non disilluse ideologicamente dal jihad, ma “costrette” a rientrare a causa di motivi familiari, malattie, ferite o altro. Sono soggetti che potrebbero ripartire per altri teatri di conflitto in virtù dell’immutata motivazione ideologica, o diventare dei reclutatori in patria.

La terza categoria di reduci è composta dalle persone catturate o comunque rimpatriate contro la loro volontà; l’ambiente carcerario in questo frangente può diventare volano di idee estremiste, permettendo a soggetti già radicalizzati e violenti di creare un network di persone potenzialmente ricettive a messaggi anti-sociali[26]. Non va dimenticato che diverse cellule terroristiche si sono formate durante la concomitante permanenza in prigione dei loro membri, esattamente come è accaduto a Camp Bucca (Iraq); dal 2004 in quel campo di prigionia vennero rinchiusi i più pericolosi jihadisti locali, che poterono tessere alleanze e pianificare la creazione del gruppo che sarebbe evoluto nell’Isis[27].    

L’ultimo gruppo di returnees, sicuramente il più pericoloso, è quello composto da agenti operativi. Returnees che gestiscono cellule e strutture dormienti in Europa o in altre nazioni al fine di compiere attacchi e spostare ulteriormente il focus mediatico dai teatri mediorientali al mondo occidentale. Secondo le stime dell’intelligence, centinaia di questi operativi sarebbero già rientrati in Europa (vedasi ad esempio l’attentato di Parigi del novembre 2015) e avrebbero costituito l’ossatura di Isis nel continente, cui farebbero riferimento i combattenti di rientro ancora stazionati in Turchia o in procinto di lasciare il Siraq[28].

Foreign terrorist fighters italiani

Secondo le ultime stime ufficiali, i foreign terrorist fighters partiti dal nostro paese sarebbero 125; di costoro, trentasette sarebbero deceduti in Siraq, mentre altri ventidue hanno fatto ritorno in Europa. Di questi ultimi, infine, dieci sono rientrati in Italia[29]. Anche il gruppo di returnees italiani può essere suddiviso nelle categorie precedentemente rappresentate e la valutazione della nostra intelligence sul rischio rappresentato da tali individui non può prescindere da una analisi approfondita del vissuto e delle esperienze dei reduci. Di seguito vengono evidenziate le storie di alcuni returnees che forniscono uno spaccato del panorama jihadista italiano, con le sue peculiarità e differenze rispetto al resto d’Europa. I dati sono stati raccolti partendo da notizie pubblicate su fonti aperte (Osint) relative a individui censiti come Ftf.

Alcuni sono già rientrati e vengono sottoposti a trattamenti in cliniche per disagi mentali, come nel caso di Giampiero Filangieri, arrestato a Erbil (Kurdistan iracheno) nel 2014 ed estradato in Italia a maggio del 2015[30]. Trentasettenne di origini calabresi, residente in provincia di Bologna, Filangieri, che viene considerato dai parenti un “ragazzo problematico e facilmente plagiabile”, si era convertito all’Islam e aveva iniziato a frequentare ambienti radicali. Nel 2008 si era recato in Spagna, a Granada, dove era stato ricoverato dopo aver subito un pestaggio. Scomparso dall’ospedale nonostante una prognosi di 90 giorni, Filangieri aveva fatto perdere le sue tracce, fino alla sua localizzazione lungo il confine turco grazie ad alcune conversazioni sull’applicazione di messaggistica Whatsapp[31].

Storia simile anche per Dannoune el Mehdi, marocchino naturalizzato italiano e residente a Biella; il giovane ventitreenne, viene citato da diverse fonti aperte per aver trascorso un periodo di tempo in Siria ed essere poi rientrato in Europa per essere sottoposto a cure per disagio mentale presso una struttura medica di un paese straniero[32]. In entrambi i casi alla base della decisione di unirsi al conflitto in Siraq ci sarebbero quindi i disagi psichici dei soggetti coinvolti e non il convincimento ideologico o religioso solitamente associato ai Ftf.

Un diverso gruppo di returnees è composto invece dai cosiddetti “combattenti di Cologno Monzese”[33]; si tratta di un gruppo di siriani residenti in Lombardia, che già nel 2012 avevano assaltato la loro ambasciata a Roma e compiuto rappresaglie a Milano contro soggetti pro-Assad[34]. Pur trattandosi di mujahidin siriani, gli stessi vanno fatti rientrare nella categoria dei Ftf essendo residenti in un paese diverso da quello dove si erano recati per combattere[35]. Il personaggio più conosciuto ritornato in Italia è sicuramente Ammar Bacha, trentanovenne, rientrato nel luglio del 2013 per curare una ferita riportata in combattimento. Dopo il ritiro del suo passaporto, Bacha, che venne intervistato riguardo la sua esperienza, confermò di aver partecipato al conflitto contro l’esercito di Bashar al Assad, precisando di essere disposto a tornare in Siria[36].

Il leader del gruppo di siriani partiti da Cologno Monzese era il quarantaquattrenne Haisam Sakhanh; dopo aver guidato la devastazione dell’ambasciata siriana a Roma nel 2012, era partito con i suoi amici per la Siria adottando la kunya di Abu Omar nella “katiba Suleiman”[37]. Aveva partecipato a scontri armati e immortalato in un video (pubblicato in seguito dal New York Times) mentre uccideva a sangue freddo dei soldati. Nel 2013 era riuscito a entrare in Belgio e successivamente in Svezia, dove aveva chiesto asilo politico come rifugiato siriano. La polizia svedese lo aveva arrestato dopo aver comparato le sue impronte digitali con quelle fornite dagli investigatori italiani. Sakhanh è stato recentemente condannato all’ergastolo per crimini di guerra[38].     

Altro membro siriano partito da Cologno Monzese è Anter Chaddad, giunto in Siria con suo fratello Manar nel 2012, per poi fare rientro in Italia, a Erba nel 2015. Un deputato locale ha presentato un’interpellanza al Ministro dell’Interno per avere contezza delle attività di Chaddad in Italia e del livello di controllo nei suoi confronti da parte delle forze di polizia[39]

Il ventiseienne Eldin Hodza è un altro reduce dal jihad in Siraq; kosovaro, residente a Bolzano, il giovane era stato arrestato nel corso dell’operazione dei Carabinieri “JWEB” del novembre 2015. Hodza faceva parte di una cellula terroristica operante in Trentino, con legami in almeno altre cinque nazioni e guidata dal predicatore estremista Faraj Ahmad Najmuddin alias Mullah Krekar. Il kosovaro si era recato in Siria nel 2014 grazie al supporto logistico ed economico dell’organizzazione transnazionale. Dopo aver effettuato un periodo di addestramento armato, Hodza aveva fatto rientro in Italia dove svolgeva opera di proselitismo e reclutamento[40]. La corte di Appello di Bolzano ha recentemente confermato le pene erogate a tutti i membri della cellula di Merano in primo grado[41].

Un caso che ha suscitato scalpore in Inghilterra riguarda il siciliano Gianluca Tomaselli, trasferitosi in Inghilterra e convertitosi alla religione islamica. Sposato e padre di due bambini, si era rapidamente radicalizzato e nel 2013 si era recato in Siria per unirsi alle fila di un gruppo collegato a Isis e utilizzando il nome di battaglia di Abu Abdullah al-Britani. Rientrato in Inghilterra alla fine del 2014, era tornato a condurre una vita normale, ottenendo anche un impiego come parcheggiatore in un ospedale di Londra[42]. Il suo caso è stato portato ad esempio dal quotidiano inglese The Telegraph per sottolineare la percentuale molto bassa (12,5%) di Ftf che sono stati arrestati e condannati al loro rientro in Inghilterra[43].

Il tunisino Moez Abdelkhader al Fezzani, in Italia conosciuto come Abu Nassim è invece un jihadista della prima generazione, il cui primo arresto in Italia per reati di terrorismo risale al 1997; fuggito a Peshawar, si era unito al jihad divenendo l’Emiro del contingente tunisino di al-Qa’ida. Dopo la sua cattura era stato imprigionato nella base Afghana di Bagram e quindi a Guantanamo, da dove era stato estradato in Italia nel 2009. Liberato per fine pena nel 2012 ed espulso in Tunisia, a seguito delle primavere arabe era approdato nel gruppo Ansar al-Shari’ah; trasferitosi in Siria per combattere nelle fila di ISIS, era divenuto il leader delle forze speciali del famigerato battaglione al-Battar[44]. Nel 2014 era stato inviato in Libia per creare campi di addestramento a Sabratha e reclutare combattenti[45]. Al-Fezzani sarebbe stato arrestato a novembre del 2016 in Sudan, dove si era nascosto per evitare la cattura. A tradirlo sarebbero stati i suoi contatti con il vecchio network jihadista milanese per il reclutamento di Ftf e  la ricerca di finanziamento della sua latitanza.

Eli Bombataliev è un cittadino ceceno di 38 anni arrestato a luglio del 2017 a Foggia; l’uomo, in Italia dal 2012, era finito nel mirino dell’intelligence europea a seguito dei suoi spostamenti tra Italia e Belgio, dopo essere rientrato dalla Siria nel 2015. Bombataliev aveva partecipato all’attacco alla “casa della Stampa” di Grozny nel 2014, per poi proseguire il jihad con ISIS in Siria tra il 2014 e il 2015; la sua attività di proselitismo e reclutamento in un centro culturale a Foggia, nonché il rischio che stesse recandosi in Belgio per compiere un attentato suicida aveva fatto precipitare la situazione, portando all’arresto del jihadista[46].

Ultimo caso in ordine di tempo è quello di Lara Bombonati ventiseienne convertita all’Islam con il nome di Khadijah. La ragazza, sposata con Francesco Muhammad Cascio, anch’egli convertito, si era recata in almeno due occasioni in Siria, da cui sarebbe tornata una prima volta dopo la morte in combattimento del marito; era stata arrestata con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo al suo secondo ritorno in Italia, dopo essere stata fermata sul confine turco-siriano[47]. La ragazza avrebbe avuto il compito di fare proselitismo nel nostro paese e di trovare un nuovo marito, per poi rientrare in Siria. Il suo ruolo sarebbe stato quello della “staffetta” tra i jihadisti esterni al Siraq e il gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham[48].  

Vi sono poi i casi di coloro che cercano di rientrare dai territori del conflitto a seguito dell’offensiva occidentale e del collasso territoriale di Isis; di seguito vengono inseriti alcuni esempi reali di mujahidin partiti dall’Italia per la Siria o l’Iraq e non ancora rientrati. Ciò al fine di confermare ulteriormente l’estrema diversità delle figure dei potenziali returnees, in vista della necessaria valutazione individuale che è indispensabile nel momento in cui un combattente fa rientro nel paese di provenienza. Uno degli esempi “nostrani” è quello di Monsef el Mkhayar residente a Milano. Affidato a una casa famiglia meneghina fino al raggiungimento della maggiore età, beveva alcool e spacciava hashish, motivo quest’ultimo, per cui era stato arrestato e detenuto a San Vittore, luogo in cui si era radicalizzato in brevissimo tempo. Partito per la Siria nel 2015 a soli diciotto anni con un amico della stessa età ed ex residente nella stessa struttura di sostegno, a marzo di quest’anno avrebbe dichiarato ai parenti in Italia la sua intenzione di tornare nel nostro paese. Ad aprile è stato condannato in contumacia a otto anni di reclusione per le attività terroristiche e di reclutamento in favore di Isis, un fatto che lo porterà probabilmente a riconsiderare il rientro in Italia[49].

Un cenno a parte merita uno dei Ftf italiani più conosciuti, ovvero il marocchino Anas el Abboubi. Cresciuto in Italia e diventato un rapper locale, si era radicalizzato in brevissimo tempo e aveva deciso di fondare Sharia4Italy, sezione locale del più noto network islamista Sharia4Belgium, responsabile del reclutamento di numerosi Ftf belgi. Nel 2013 era stato arrestato perché sospettato di stare pianificando un attentato in Italia, ma viene scarcerato dopo 15 giorni. Un gruppo di jihadisti dei Balcani ne avevano agevolato la fuga e l’ingresso in Siria dove prende il nome di Anas al-Italy (l’italiano)[50]. A marzo del 2016 un database di oltre ventimila nomi di mujahidin di Isis viene consegnato all’intelligence tedesca da un pentito; tra le persone censite è presente anche Abu Rawaha al-Italy, alias Anas el Abboubi, la cui scheda personale lo indica come morto durante un’operazione suicida[51]. Il 28 settembre 2016 el Abboubi era stato comunque inserito nelle liste dei “global designated terrorists” dal Dipartimento di Stato americano a causa della sua estrema pericolosità e dell’assenza di prove sulla sua morte[52].   

Returnees  in Italia: rotte e motivazioni

Oltre ai mujahidin partiti dall’Italia, altri Ftf provenienti da differenti nazioni potrebbero fare rientro in Europa attraverso il nostro paese, soprattutto se in patria sono stati identificati e hanno già precedenti penali. I combattenti di Da’ish in Siraq venivano suddivisi in battaglioni “omogenei” in base alla provenienza geografica (maghrebini, balcanici, ecc.) o all’affiliazione linguistica (francofoni, anglofoni, ecc.). I network e i legami forgiati durante la permanenza nei territori controllati da Isis, possono ora essere utilizzati come rete logistica per il ritorno, in concorso con gli hub di radicalizzazione presenti in molte metropoli europee[53].

L’importanza di legami personali preesistenti all’adesione a un gruppo terroristico è ben nota anche per un altro motivo; per colmare la distanza esistente tra l’ambiente locale di un soggetto radicalizzato e un’organizzazione jihadista transnazionale è necessaria la figura di un facilitatore. Questi fornisce le indicazioni logistiche utili al futuro Ftfper raggiungere il teatro del conflitto. Il facilitatore permette inoltre ai gruppi jihadisti di effettuare uno screening preventivo dei futuri mujahidin; solitamente questa funzione viene assolta attraverso la tazkiyah, ovvero la raccomandazione fatta da un membro “sicuro” in favore del futuro jihadista[54].

Per quanto riguarda le rotte di rientro dei Ftf, vengono generalmente usati i percorsi già predisposti dai network jihadisti per l’afflusso dei Ftf in Siria e Iraq; i cosiddetti “broken travel”, gli intermediari e le centrali logistiche in Turchia instradano i mujahidin a ritroso verso i paesi d’origine[55]. Le rotte utilizzate per entrare nel nostro paese sono preferenzialmente quella balcanica (attraverso la Grecia) e quella libica; questo in sovrapposizione ai flussi migratori in ingresso in Italia, con ovvia complicazione della gestione dei richiedenti asilo[56]. In alcuni casi inoltre i mujahidin fingono la propria morte per poter viaggiare più liberamente, soprattutto se in possesso di documenti falsi[57].

In generale, i reduci hanno a disposizione diversi metodi per il ritorno in patria a seconda delle condizioni in cui si trovano; possono innanzitutto chiedere aiuto al loro consolato, specialmente se hanno necessità di nuovi documenti, assistenza per figli minori, o se devono essere ricoverati in strutture sanitarie. Alcuni utilizzano i facilitatori sul confine turco/siriano che li avevano “gestiti” anche all’ingresso in Siraq. Altri, infine, tentano il viaggio con documenti falsi (specialmente nel caso di persone con precedenti penali) verso paesi europei terzi. Quest’ultima eventualità, già abbondantemente documentata, rende necessario un ulteriore sforzo di cooperazione internazionale di polizia per condividere i dati dei Ftf e preparare un piano investigativo d’intervento (se possibile antecedente al rientro dei veterani). Tutto ciò allo scopo di monitorare i legami transnazionali, le rotte e i metodi utilizzati per il ritorno dai combattenti[58].

Ulteriore punto di preoccupazione è rappresentato proprio dai documenti falsi: passaporti siriani di persone decedute o con false identità stampate su documenti validi vengono confezionati in diverse centrali create allo scopo[59]. Un recente rapporto della nostra intelligence parla inoltre della possibilità di ottenere sul deep web passaporti biometrici di elevatissima fattura preparati dalla criminalità organizzata italiana, che permetterebbero ai soggetti interessati di fare rientro in Inghilterra con una nuova identità[60].        

Strategie di contrasto e deradicalizzazione

Le strategie impiegate in vista di un possibile massiccio rientro di foreign terrorist fighters nei paesi d’origine sono molteplici e riflettono le diverse situazioni delle nazioni coinvolte. In risposta all’accentuata minaccia terroristica degli ultimi anni, le misure di carattere repressivo restano uno degli approcci maggiormente impiegati dal legislatore. Esiste poi una zona d’ombra di persone che esprimono idee estreme, risentimento e rabbia; tali situazioni, che non possono assolutamente essere considerate alla stregua del terrorismo, richiedono allo stesso tempo una delicata valutazione e un costante monitoraggio dei possibili percorsi evolutivi, per meglio comprendere e prevenire ulteriori e più gravi problematiche.

Partendo dai differenti percorsi storico-culturali e dalle diverse esperienze nazionali sono state quindi introdotte delle strategie di prevenzione, deradicalizzazione e riabilitazione dal jihadismo militante; alcuni paesi, ad esempio, utilizzano attività riabilitative e di prevenzione della radicalizzazione e discriminazione, come nel caso di Aarhus in Danimarca; altri seguono programmi di contrasto all’estremismo violento in senso lato, sull’esempio olandese di Hedayah (Exits). La Germania ha adottato una rete di consulenza e deradicalizzazione (Hayat) collegata all’Ufficio Federale per l’Immigrazione e i Rifugiati (Bamf); in Inghilterra il programma di prevenzione della radicalizzazione Prevent, è strutturato in uno dei quattro pilastri della strategia antiterrorismo governativa Contest[61].

Per quanto riguarda le misure di carattere più repressivo invece, la revoca della cittadinanza, il ritiro del passaporto, il divieto di rientro per i reduci dal jihad, oltre ovviamente ai procedimenti penali per i reati commessi, sono parte del panorama europeo. Tali misure sono tese a limitare gli effetti del rientro dei Ftf nel breve periodo, ma evidenziano anche le difficoltà nei procedimenti penali a carico dei returnees per il difficile reperimento di fonti di prova certe relative alle attività svolte e ai legami con organizzazioni terroristiche; talvolta vengono quindi irrogate condanne più lievi in virtù delle condotte illecite minori accertate. Diversi autori inoltre contestano la validità di lungo periodo di tali misure, suggerendo possibili effetti controproducenti e ulteriori rischi di radicalizzazione e proselitismo in prigione per coloro che vengono condannati[62].

Ulteriore momento di dibattito è suscitato dal rientro di minori partiti con foreign terrorist fighters per il Siraq e dei bambini concepiti negli stessi territori[63]; vanno considerati primariamente come vittime o come soggetti imputabili se hanno commesso dei reati? Sono cittadini europei anche se nati in Siria o Iraq e quindi tutelati/soggetti alle relative leggi? Valutazioni simili sono fondamentali soprattutto per la gestione di minori che hanno subito un processo d’indottrinamento e addestramento e abbiano partecipato ad attività violente con conseguente socializzazione nei dettami di Da’ish[64]

In base a queste valutazioni e un approccio di lungo periodo, i governi occidentali, come visto, fanno sempre maggiore affidamento su programmi di contrasto dell’estremismo violento (Cve). Queste misure mirano alla prevenzione della radicalizzazione come pure alla deradicalizzazione e riabilitazione dei reduci, tenuto conto delle situazioni diversificate in cui si trovano i returnees (combattenti incalliti, disillusi, vittime dei reclutatori jihadisti, bambini, ecc.). Un sistema bilanciato che preveda misure repressive ma anche approcci più “morbidi” fornisce la possibilità di operare anche per situazioni ove sia impossibile istruire un’azione penale[65]

La Radicalisation Awareness Network (Ran) è un organismo europeo che si occupa di ricerca e proposte per strategie di reinserimento e deradicalizzazione. Il network è composto da professionisti con background diversificati provenienti da tutta Europa e coinvolti quotidianamente con persone a rischio o già radicalizzate. Sono presenti le autorità di polizia e carcerarie, ma anche figure solitamente non coinvolte in attività anti-terrorismo come insegnanti, assistenti sociali, rappresentanti delle comunità locali, psicologi, ecc. Nel luglio di quest’anno Ran ha pubblicato un utile manuale per la gestione del fenomeno dei returnees; al suo interno, vengono distinte le differenti categorie di reduci (disillusi, opportunisti, attentatori inviati in Europa, catturati/costretti al rientro), le diverse motivazioni alla base della partenza e i diversi ruoli ricoperti dai Ftf (a seconda che si tratti di uomini, donne o bambini). Nel manuale sono elencati alcuni punti chiave per ottenere un efficace programma di gestione dei reduci del jihad sulla base delle migliori esperienze raccolte: è prioritaria una approfondita valutazione del rischio posto dal singolo individuo; per ogni soggetto deve essere adottato un piano di deradicalizzazione individuale, coinvolgendo diverse agenzie governative e non; viene sottolineata l’esigenza di un coordinamento tra le agenzie coinvolte; si conferma la necessità di una strategia comunicativa in ambito locale per meglio aderire al variegato tessuto sociale[66].

Il quadro normativo italiano

In Italia il comparto di misure repressive viene costantemente aggiornato e adeguato all’evolversi della minaccia, anche grazie alle esperienze del nostro paese nella lotta al terrorismo interno e al crimine organizzato. Gli articoli di legge dedicati, affiancati alle misure di prevenzione personali e patrimoniali (sorveglianza speciale, divieto e/o obbligo di soggiorno, ecc.) e alle espulsioni di stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo rappresentano un corpo normativo completo e adeguato al fenomeno[67]. Le novità recenti sono invece rappresentate dall’istituzione di una commissione di studio e da un disegno di legge relativi alla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista[68].

La commissione, composta da diverse personalità del mondo accademico, della ricerca e della comunicazione, ha avuto l’incarico di evidenziare i percorsi di radicalizzazione jihadista nel nostro paese e suggerire le politiche da adottare per la prevenzione e la deradicalizzazione dei soggetti a rischio. Nella relazione finale pubblicata dalla Commissione vengono evidenziati due luoghi, uno fisico (le prigioni) e l’altro virtuale (il web), che hanno assunto notevole importanza nella diffusione e assorbimento dell’ideologia jihadista nel nostro paese.

Il DDL n. 2883 può essere visto come un compendio delle esperienze osservate in altre nazioni e nelle intenzioni dei promotori prevede un approccio top-down, attraverso la creazione di un Centro Nazionale sulla Radicalizzazione (Crad), responsabile dell’elaborazione del piano strategico nazionale di prevenzione e recupero dei soggetti radicalizzati; a questa strategia nazionale corrisponde poi una concreta applicazione in ambito locale del piano, demandata ai Centri di Coordinamento Regionali (Ccr), istituiti presso le Prefetture dei capoluoghi di regione.

È prevista l’istituzione di un Comitato parlamentare per il monitoraggio della radicalizzazione jihadista, per svolgere azione conoscitiva del fenomeno anche attraverso l’audizione di figure istituzionali o di attori impegnati a vario titolo nel settore; è prevista inoltre una relazione annuale da presentare alle Camere per riferire sull’attività svolta e per formulare proposte o segnalazioni su questioni di propria competenza.

Due articoli evidenziano l’interesse della legge italiana per la prevenzione della radicalizzazione e per il recupero di soggetti già radicalizzati negli istituti scolastici (art.8) e nelle prigioni (art.11), attraverso interventi mirati gestiti da personale specializzato in mediazione interculturale e in grado di fornire una contro-narrativa all’ideologia jihadista che può attecchire in simili contesti.

Punto essenziale evidenziato dal disegno di legge è l’intervento degli operatori di prima linea nelle aree d’interazione dei soggetti a rischio o già radicalizzati, come le scuole, le prigioni, i luoghi di preghiera, di aggregazione sociale e il web. Secondo i promotori del progetto, questa strategia verrà attuata non soltanto per il possibile recupero dei Ftf ma, in un’ottica più ampia,  anche per permettere alle istituzioni di “entrare in quel mondo di simpatizzanti e curiosi (dell’ideologia jihadista), che rappresenta la nostra minaccia potenziale”[69].

A tale scopo, è prevista formazione specialistica per tutte le figure professionali e di culto legate a questi interventi, in modo che l’approccio con le comunità locali e con i singoli individui sia comunque legato a una strategia nazionale, oltre a cercare di fornire omogeneità negli standard di valutazione e interpretazione di dati, sempre ricordando che al centro dell’opera di deradicalizzazione deve rimanere l’individuo.

Conclusioni

L’evoluzione futura del jihadismo mondiale dipende da diversi fattori di non semplice decifrazione al momento, ma è evidente che l’attuale situazione di ripiegamento di Isis inciderà negativamente sulla fascinazione che il “Califfato” ha esercitato sia ideologicamente sia come polo di attrazione geografica. Come sottolineato da Rik Coolsaet, questa situazione fornisce, adesso, una finestra di opportunità per rimuovere le condizioni favorevoli che hanno permesso a Da’ish di avere successo e diventare il fenomeno mediatico degli ultimi anni[70].

Il fenomeno del reducismo jihadista italiano, come pure quello dei Ftf partiti dal nostro paese per Siria e Iraq non ha raggiunto le allarmanti dimensioni di altri paesi europei, ma la minaccia alla sicurezza nazionale deve essere affrontata per tempo, disinnescando le propensioni all’estremismo di alcuni individui, prima che anche nel nostro paese il fenomeno assuma dimensioni più preoccupanti[71]. I casi di Anis Amri e Ahmed Hanachi, i passaggi in Italia di Abdelslam Salah e di Khalid el Bakraoui, sottolineano inoltre l’estrema facilità di spostamento in diverse nazioni europee dei jihadisti, rendendo necessaria un’analisi più strutturata del rischio per il nostro paese[72].

Il panorama jihadista italiano è ancora composto per lo più da immigrati regolari e da quelli che Lorenzo Vidino ha definito come “cittadini sociologicamente tali”[73]; ciò implica un ridotto numero di immigrati musulmani di seconda e terza generazione (quelli più influenzabili dalla propaganda jihadista) rispetto ad altri paesi europei.   

L’Italia quindi, ha ancora la possibilità di osservare e mettere in pratica le migliori esperienze di prevenzione e deradicalizzazione attuate in Europa, adattandole al contesto e al substrato culturale nazionale. I numeri dei returnees nel nostro paese permettono ancora di lavorare con serenità, affiancando un programma di deradicalizzazione strutturato a un’attenta e delicata opera di monitoraggio e di mediazione. Parte integrante di questa strategia deve essere l’opera di prevenzione della radicalizzazione futura, soprattutto negli ambienti e nei contesti che la commissione di studio sul fenomeno ha evidenziato essere a rischio in Italia.

Vanno soprattutto evitate le generalizzazioni, gli stereotipi e le decisioni repentine in situazioni di emergenza, che rischiano di favorire, invece che prevenire, la radicalizzazione jihadista violenta[74]. Anche il dibattito sui migranti e il relativo rischio di infiltrazioni terroristiche devono prescindere da manifestazioni xenofobe o populiste, per evitare di supportare la narrativa jihadista di reclutamento[75].

È quindi necessario affrontare questa problematica con una visione strutturale e di lungo periodo in ambito sociale per sviluppare “anticorpi” e migliorare la resilienza individuale alla radicalizzazione jihadista. Le misure di prevenzione e deradicalizzazione dell’estremismo proposte nel nostro paese dovranno necessariamente basarsi su standard valutativi rigorosi e uniformi, oltre a operare su due livelli interconnessi: da un punto di vista ideologico, delegittimando la narrativa jihadista e i suoi dettami e a livello pragmatico, fornendo strumenti ai returnees in vista di un loro possibile reinserimento sociale.

 

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Alessandro Boncio è Ispettore dell’Arma dei Carabinieri e docente presso l’Istituto Superiore di Tecniche Investigative dell’Arma dei Carabinieri. Ha partecipato a numerose missioni internazionali in Medio Oriente, Balcani e Africa come analista e CT consultant. È inoltre membro del network EENeT (European Expert Network on Terrorism Issues) in qualità di analista del fenomeno foreign fighters con particolare  attenzione al caso italiano.

 

 

 

[1] Identificabile anche con le sigle Isil, Isis, IS o con l’acronimo arabo Da’ish; semplificando, tali definizioni, ormai entrate nel lessico comune, verranno utilizzate in modo intercambiabile nell’elaborato.

[2] J. Bennett, “National Counterterrorism Center Head: many if not most foreign ISIS fighters will fight to the death for the caliphate”, Daily Caller, 21 luglio 2017,  http://dailycaller.com/2017/07/21/national-counterterrorism-center-head-many-if-not-most-foreign-isis-fighters-will-fight-to-the-death-for-the-caliphate/

[3] Acronimo comprendente le parole Siria e Iraq, ovvero l’area di conflitto che coinvolge il fenomeno analizzato.

[4] S. Carenzi e A. Varvelli, “Dopo il Califfato: quali scenari per lo Stato Islamico”, in Focus Mediterraneo allargato, n. 5, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale per l’Osservatorio di Politica Internazionale,  Parlamento e del Ministero degli Affari Esteri, luglio – settembre 2017,  p. 66, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/focus-mediterraneo-allargato-n5-17975

[5] S. Kirchgaessner e L. Tondo, “Why has Italy been spared mass terror attacks in recent years?”, The Guardian, 23 giugno 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/jun/23/why-has-italy-been-spared-mass-terror-attacks-in-recent-years

[6] S. Fillion, “What we can learn from France’s failed deradicalization center”, La Stampa, 2 settembre 2017, http://www.lastampa.it/2017/09/02/esteri/lastampa-in-english/what-we-can-learn-from-frances-failed-deradicalization-center-s126MYkCYw329OcwUd1UcJ/pagina.html

[7] B. Powell, “As ISIS caliphate crumbles, jihadi tactics are evolving”, The Independent, 21 ottobre 2016,  http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/as-isis-s-caliphate-crumbles-jihadist-tactics-are-evolving-a7369346.html

[8] G. Giacalone e N. Spagna, Un nuovo gruppo jihadista: Hayat Tahri al-Sham (HTS), Italian Team for Security, Terrorist Issues & Managing Emergencies, 13 febbraio 2017,  http://www.itstime.it/w/un-nuovo-gruppo-jihadista-hayat-tahrir-al-sham-hts-by-giovanni-giacalone-e-nicolo-spagna/

[9] A.P. Schmid, “The definition of terrorism” in The Routledge handbook of terrorism research, Routledge, 2011.

[10] La Risoluzione 2178/2014 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite identifica come Ftf “gli individui che si recano in uno Stato diverso da quello di loro residenza o cittadinanza ai fini del compimento, della pianificazione, o della preparazione di, o per la partecipazione ad atti terroristici, oppure per fornire o ricevere addestramento terroristico”.

[11] R. Gunaratna, Inside al Qaeda: global network of terror, Columbia University Press, 2002, p. 115.

[12] A. Reed e J. Pohl, Tackling the surge of returning foreign fighters, International Centre for Counter Terrorism – ICCT, 14 luglio 2017, https://icct.nl/publication/tackling-the-surge-of-returning-foreign-fighters/

[13] “Responses to returnees: foreign terrorist fighters and their families”, Radicalisation Awareness Network, luglio 2017, p. 15, https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/ran_br_a4_m10_en.pdf

[14] J. Dettmer, “Britain Strips More Than 100 Islamic State Fighters of Citizenship”,VOA News, 30 luglio 2017, ; D.H. Heinke, “German foreign fighters in Syria and Iraq: the updated data and its implications”, Combating Terrorism Center – Sentinel, vol. 10, n. 3, 10 marzo 2017, p. 17, https://ctc.usma.edu/posts/german-foreign-fighters-in-syria-and-iraq-the-updated-data-and-its-implications

[15] N. Vinocur, “France’s mutating terror threat”, Politico, 7 dicembre 2016, http://www.politico.eu/article/frances-mutating-terror-threat-islamic-state-terrorists-europe-euro-2016/; “Belgian Authorities estimate 629 foreign terrorist fighters in country”, Sputnik News, 25 aprile 2017; https://sputniknews.com/europe/01704251052972527-belgium-terrorist-fighters/; L. Gustafsson e M. Ranstorp, Swedish foreign fighters in Syria and Iraq: an analysis of open-source intelligence and statistical data, Center for Asymmetric Threat Studies – CATS, 15 giugno 2017,  

[16] M. Argoubi, “Tunisian foeeign fighters to be dealt with under anti-terrorism law: PM”, Reuters, 30 dicembre 2016, http://www.reuters.com/article/us-tunisia-security-idUSKBN14J1AL; AA.VV., “Balkan jihadists. The radicalization and recruitment of fighters in Syria and Iraq”, Balkan Investigative Reporting Network, marzo 2016, http://www.balkaninsight.com/en/file/show/Balkan-Jihadists.pdf

[17] R. Nordland, “Captured ISIS fighters refrain: I was only a cook“, The New York Times, 1 ottobre 2017,

[18] A. Speckhard e A. Yayla, ISIS defectors. Inside stories of the terrorist Caliphate, Advances Press LLC, 2016.

[19] B. Schuurman e L. van der Heide, “Foreign fighter returnees & the reintegration challenge”, Radicalisation Awareness Network, novembre 2016, p. 4.

[20]  “Wave of ‘more dangerous, skilled’ ISIS jihadists bound to hit Europe – UN counterterrorism chief”, RT news, 19 maggio 2017, https://www.rt.com/news/388914-europe-danger-isis-jihadists/

[21] C. Dickey, “French jihadi Mehdi Nemmouche is the shape of terror to come”, The Daily Beast, 9 settembre 2014, http://www.thedailybeast.com/articles/2014/09/09/the-face-of-isis-terror-to-come.html

[22] R.K. Cragin, “The November 2015 Paris attack: the impact of foreign fighter returnees”, Orbis, vol. 61 n. 2, pp. 212-226; E. Graham-Harrison, A. Nelsen e P. Greenfield, “Brussels attacks: last gasp of ISIS terror in Europe, or sign of growing threat?”, The Guardian, 27 marzo 2016, https://www.theguardian.com/world/2016/mar/27/brussels-bombing-last-gasp-isis-latest-attack-europe

[23] L. Vidino, F. Marone e E. Entenmann, Fear thy neighbor. Radicalization and Jihadist Attacks in the West, Milano, Epoké-ISPI, giugno 2017, p. 61, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fear-thy-neighbor-radicalization-and-jihadist-attacks-west-16960

[24] AIVD, “Focus on Returnees”, General Intelligence and Security Service, 15 febbraio 2017, p. 4, https://english.aivd.nl/binaries/aivd-en/documents/publications/2017/02/15/publication-focus-on-returnees/Terugkeerders+in+beeld_ENG_WEB.pdf

[25] A. Speckhard e A. Yayla (2016).

[26]J.P. Bjelopera, American Jihadist Terrorism: Combating a Complex Threat, Congressional Research Service, 2013, pp. 23-25.

[27] M. Chulov, “Isis: the inside story”, The Guardian, 11 dicembre 2014, https://www.theguardian.com/world/2014/dec/11/-sp-isis-the-inside-story

[28] L. Tondo, P. Wintour e P. Messina, “Interpol circulates list of 173 suspected members of ISIS suicide brigade”, The Guardian, 21 luglio 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/jul/21/isis-islamic- state-suicide-brigade-interpol-list

[29] “Barcellona, sull’Europa l’ombra di 3mila foreign fighters. Numeri e identikit”, Affaritaliani, 18 agosto 2017, http://www.affaritaliani.it/cronache/barcellona-sull-europa-ombra-dei-foreign-fighters-numeri-identikit-495054.html; G. Longo, “quei 6 radicalizzati in casa finiti nel mirino dell’intelligence”, La Stampa, 25 giugno 2017, http://www.lastampa.it/2017/06/25/italia/cronache/quegli-radicalizzati-in-casa-finiti-nel-mirino-dellintelligence-KtMTBKjG2ld5PbcURlRvNO/pagina.html

[30] V.R. Spagnolo, “Indagini. Rimpatriato il primo jihadista italiano”, Avvenire, 5 maggio 2015, http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Estradato-il-primo-jihadista-italiano-.aspx

[31] G. Nigra, “Ecco chi è Giampiero, il ragazzo difficile sedotto dall’Isis”, Il Primato Nazionale, 10 febbraio 2015, http://www.ilprimatonazionale.it/esteri/chi-e-giampiero-filangieri-italiano-arruolato-isis-16634/

[32] “Sono 1.500 i foreign fighters tornati in Europa e pronti a colpire”, Il Tempo, 6 aprile 2016, http://www.iltempo.it/esteri/2016/04/06/news/sono-1-500-i-foreign-fighters-tornati-in-europa-e-pronti-a-colpire-1006454/

[33] M. Serafini, “L’elettricista che odia Assad, Haisam da Cologno alla Siria”, Il Corriere della Sera, 28 agosto 2014, http://www.corriere.it/cronache/14_agosto_28/elettricista-che-odia-assad-haisam-cologno-siria-8f6d04e4-2e92-11e4-866c-ea2e640a1749.shtml

[34] “Terrorismo, la Digos di Milano controlla alcuni siriani comaschi”, Il Corriere di Como, 8 gennaio 2015, http://www.corrieredicomo.it/terrorismo-la-digos-di-milano-controlla-alcuni-siriani-comaschi/

[35] Oltre alla Risoluzione 2178/2014 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu si veda la definizione di Ftf fornita da Thomas Heggammer; T. Heggammer, “Should I stay or should I go? Explaining variation in Western/jihadists’ choice between domestic and foreign fighting”, American Political Science Review, vol. 107, n. 1, febbraio 2013, pp.1-15, https://www.cambridge.org/core/journals/american-political-science-review/article/should-i-stay-or-should-i-go-explaining-variation-in-western-jihadists-choice-between-domestic-and-foreign-fighting/6CD5FE49C158DB30EB9EE62E5BE0DBE2

[36] P. Berizzi “Ammar Bacha: “Non taglio gole, voglio solo giustizia””, la Repubblica, 10 settembre 2014,

[37] La kunya è un patronimico arabo che si riferisce al figlio primogenito del portatore. Viene anche utilizzato spesso come nom de guerre dai combattenti jihadisti.

[38] G. Santucci, “Ergastolo per Haisam: ‘l’elettricista di Milano’ massacrò militari siriani”, Il Corriere della Sera, 17 febbraio 2017, http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_febbraio_18/ergastolo-haisaml-elettricista-milanoche-massacro-militari-siriani-b37668cc-f559-11e6-acae-b28574795707.shtml

[39] “L’intelligence: ‘Via Pino sotto controllo’”, Il Corriere di Como, 15 gennaio 2015,  http://www.corrieredicomo.it/lintelligence-via-pino-sotto-controllo/

[40] A. Palazzolo, “Terrorismo, due foreign fighters arrestati in Trentino Alto Adige”, Il Giornale, 14 novembre 2015,  http://www.ilgiornale.it/news/cronache/terrorismo-due-foreign-fighters-arrestati-trentino-1194519.html

[41] “Confermate in appello le condanne per i quattro jihadisti di Merano”, Il Foglio, 13 febbraio 2017, http://www.ilfoglio.it/cronache/2017/02/13/news/confermate-in-appello-le-condanne-per-i-quattro-jihadisti-di-merano-120247/

[42] M. Ledwith, R. Pendlebury e J. White, “Ticketing cars at London hospital, the British jihadi who’s back from fighting on the front line in Syria”, Daily Mail, 14 maggio 2016, http://www.dailymail.co.uk/news/article-3589889/Ticketing-cars-London-hospital-British-jihadi-s-fighting-line-Syria.html

[43] R. Mendick e R. Vervaik (2016).

[44] Per una biografia più completa di Abu Nassim si veda https://www.counterextremism.com/extremists/moez-fezzani

[45] P. Biondani, “Il tunisino di Milano, jihadista da 25 anni”, l’Espresso, 29 luglio 2015,  http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/07/29/news/il-tunisino-di-milano-jihadista-da-25-anni-1.223221

[46] G. Foschini, “Terrorismo, a Foggia bloccato foreign fighter ceceno: spingeva seguaci ISIS al martirio”, la Repubblica, 8 luglio 2017, http://www.repubblica.it/cronaca/2017/07/08/news/bloccato_a_bari_un_foreing_fighter_ceceno-170269388/?ref=search

[47] C. Rocci, “Lara domani davanti al giudice, cercava un nuovo marito per tornare in Siria”, la Repubblica, 25 giugno 2017

[48] Traducibile come “Organizzazione per la liberazione della Siria”, ultima denominazione del fronte filo al-Qa’ida Jabhat al-Nusra, di cui fanno parte diverse formazioni jihadiste, tutte comunque riconducibili all’ideologia qa’idista.

[49] “Dalla comunità di Milano in Siria, la storia di Monsef il reclutatore”, Corriere della Sera, 9 marzo 2017, http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_agosto_10/isis-terrorismo-comunita-kayros-milano-siria-monsef-fafd3e42-5ebd-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml; F.Q., “Terrorismo, foreign fighter condannato a 8 anni a Milano. ‘Dalla Siria propaganda e proselitismo’”, Il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2017, http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/13/terrorismo-foreign-fighter-condannato-a-8-anni-a-milano-dalla-siria-propaganda-e-proselitismo/3521049/

[50] L. Vidino, Il jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione, Milano, ISPI, 2014, pp. 60-70,  http://www.ispionline.it/it/EBook/Il_jihadismo_autoctono_in_Italia.pdf

[51] E.A. Haq, “Exclusive: 1736 documents reveal ISIS jihadists personal data”, Zaman al Wasl, 8 marzo 2016, https://en.zamanalwsl.net/news/14541.html

[52] US Department of State Executive Order no. 13224, https://www.treasury.gov/resource-center/sanctions/SDN-List/Pages/default.aspx; G. Olimpio, “ISIS, ricercato Anas el Abboubi il rapper bresciano nella lista dei super ricercati dagli USA”, Corriere della Sera, 28 settembre 2016,  http://www.corriere.it/esteri/16_settembre_28/isis-ricercato-anas-el-abboubi-rapper-bresciano-lista-nera-super-ricercati-usa-20212f4e-85ba-11e6-a231-24dd2d98c3bc.shtml

[53] A. Varvelli (a cura di), Jihadist Hotbeds. Understanding Local Radicalization Processes, Milano, Epoké-ISPI, 2016, http://www.ispionline.it/it/EBook/Rapporto_Hotbeds_2016/JIHADIST.HOTBEDS_EBOOK.pdf

[54] T. Holman, “’Gonna Get Myself Connected’: The Role of Facilitation in Foreign Fighter Mobilizations”, Perspective on Terrorism, vol. 10 no. 2, 2016 http://www.terrorismanalysts.com/pt/index.php/pot/article/view/497/985

[55] “Broken travel” sono i viaggi verso un paese terzo rispetto alla destinazione finale, proseguiti poi con altro mezzo per depistare le forze di polizia. M. Chulov, “Moroccan Isis terrorists pose a threat on Europe’s doorstep”, The Guardian, 19 agosto 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/aug/20/spain-terror-attacks-isis-morocco

[56] S. Mancinelli, “In Italia nove kamikaze dell’Isis”, Il Tempo, 2 ottobre 2017, http://www.iltempo.it/cronache/2017/10/02/news/in-italia-nove-kamikaze-dell-isis-1035631/; L. Tondo, P. Messina e P. Wintour, “Italy fears Isis fighters slip into Europe posing as injured Libyans”, The Guardian, 28 aprile 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/apr/28/islamic-state-fighters-infiltrate-europe-posing-injured-libyan-soldiers

[57] G. Van Vlierden, “Profile: Paris attack ringleader Abbdelhamid Abaaoud”, Counter TerrorismCenter – Sentinel, vol. 8, no. 11, 15 dicembre 2015, pp. 30-33, https://ctc.usma.edu/posts/profile-paris-attack-ringleader-abdelhamid-abaaoud

[58] C.P. Clarke, “Round trip tickets: how will authorities know when foreign fighters have returned”, Lawfareblog, 24 settembre 2017, https://www.rand.org/blog/2017/09/round-trip-tickets-how-will-authorities-know-when-foreign.html

[59] S. Taber, “ISIS and the fake passport industry”, Dailywire, 20 settembre 2017, http://www.dailywire.com/news/21345/isis-and-fake-passport-industry-sarah-taber

[60] R. Russo, “Napoli, passaporti falsi sul web. Allarme dei servizi segreti”, Corriere del Mezzogiorno, 8 febbraio 2017, http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/17_febbraio_08/napoli-passaporti-falsi-web-allarme-servizi-segreti-66611426-edd2-11e6-8f5d-876a0d16a58e.shtml

[61] Una descrizione del programma Aarhus è consultabile su https://ec.europa.eu/home-affairs/node/7423_en; per il programma olandese è possibile esaminare http://www.hedayahcenter.org/ftfprograms/program/exits/; la strategia tedesca è illustrata in http://hayat-deutschland.de/english/; per il programma inglese si veda https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/97994/contest-summary.pdf

[62] A. Reed e J. Pohl (2017).

[63] L. Van Der Heide e J. Geenen, Children of the Caliphate. Young IS returnees and the reintegration challenge, International Centre for Counter Terrorism – ICCT, agosto 2017, https://icct.nl/wp-content/uploads/2017/08/ICCT-vanderHeide-Geenen-Children-of-the-Caliphate-1.pdf

[64] Ibid.

[65] A. Reed e J. Pohl (2017).

[66] “Responses to returnees: foreign terrorist fighters and their families”…, cit.

[67] F. Roberti e L. Giannini, Manuale dell’antiterrorismo. Evoluzione normativa e nuovi strumenti investigativi, Roma, Laurus Robuffo, 2016

[68] Per la composizione della Commissione si veda http://www.governo.it/articolo/insediata-commissione-di-studio-su-fenomeno-radicalizzazione-ed-estremismo-jihadista/5640;  il testo del DDL può essere consultato su http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01036546.pdf

[69]  On. A. Manciulli, atti del convegno – Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista, Palazzo di Montecitorio, Roma, 17 ottobre 2017.

[70] R. Coolsaet, Anticipating the post Daesh landscape, Egmont – Royal Institute for International Relations, 3 ottobre 2017,  http://www.egmontinstitute.be/anticipating-post-daesh-landscape/

[71] M. Groppi, “The terror threat to Italy. How Italian exceptionalism is rapidly diminishing”, Combating Terrorism Center Sentinel, vol. 10 no. 6, 4 maggio 2017,  pp. 20-28, https://ctc.usma.edu/posts/the-terror-threat-to-italy-how-italian-exceptionalism-is-rapidly-diminishing

[72] M. Menduni, “I killer di Berlino e Marsiglia sono passati da Aprilia”, La Stampa, 3 ottobre 2017, http://www.lastampa.it/2017/10/03/italia/cronache/lo-strano-caso-di-aprilia-i-terroristi-di-marsiglia-e-berlino-ci-sono-passati-bQQMeqtHIhKK9JAzBPAY1H/pagina.html; F.Q., “Attentati Bruxelles, Khalid el Bakraoui passò dall’Italia nel 2015: da Treviso a Venezia, prima di arrivare ad Atene”, Il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2016, http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/28/attentati-bruxelles-khalid-el-bakraoui-passo-in-italia-nel-2015-da-treviso-a-venezia-prima-di-arrivare-ad-atene/2587225/

[73] Secondo la definizione fornita da Lorenzo Vidino, cittadini sociologicamente tali sono coloro che, legalmente residenti e cresciuti sul territorio italiano (pur se originari di un altro paese), hanno assorbito la cultura, i valori e la percezione locale degli eventi, si veda L. Vidino (2014).

[74] S. Fillion, “What we can learn from France’s failed deradicalization center”, La Stampa, 2 settembre 2017.

[75] H. Rafiq e N,. Malik, Refuge: Pathways of Youth Fleeing Extremism, Quilliam Foundation, http://www.quilliaminternational.com/shop/e-publications/refuge-pathways-of-youth-fleeing-extremism/

 

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